LA CASA DEI GJOMARKAJ
I Gjomarkaj sono stati, fino al 7 aprile 1939 e all'avvento del comunismo, i capi della Mirdizia.
L 'inizio della loro sovranità è lontano nel tempo, essendo essi, come tutto induce a credere, i diretti discendenti dei Dukagjini.
Quella dei Principi di Dukagjini fu una tra le più potenti e più antiche famiglie della nobiltà albanese. Il loro Principato appare ben definito soltanto verso la fine del XII secolo, ma le origini di esso pare siano da ricondurre ad un'epoca molto anteriore.
I possedimenti di questa famiglia erano estesissimi, comprendendo tutti i territori del nord, tra la Serbia di allora ed il Mare Adriatico. 'Essi portano sempre il loro nome, ed anche la Mirdizia e la Puka si considerano come facenti parte del territorio Dukagjin1.
Questi paesi, nelle complesse e dure vicende della storia albanese, rimasero sempre liberi e indipendenti e, mentre in quasi tutta l' Albania governavano i Turchi, essi obbedivano alle leggi che un Dukagjin aveva codificato. I Dukagjin governarono saggiamente e difesero sempre i caratteri e lo spirito del loro popolo, profondamente cattolico; religione e autonomia riuscirono a sopravvivere anche di fronte ai reiterati assalti dei Turchi, e il ricordo dei principi valorosi rimane ,fino ad oggi vivissimo in Albania.La massima. eredità che i Dukagjin hanno lasciato al loro popolo, è quel còmpendio di leggi che porta il nome di «Kanuni i lekës» o «Kanuni i lekë Dukagjinit». Sotto tutti i punti di vista, questo diritto albanese costituisce il più prezioso patrimonio della razza.Tutta l' Albania del Nord, che. porta anche il nome di «leket», è permeata del suo spirito: I «lekët e Malsis» sono i figli o i discendenti dei Dukagjini.Dopo l'intera occupazione dell'Albania compiuta dai Turchi nel 1495 circa, improvvisamente scomparve il nome dei Dukagjin e aparve invece, nei territori di questa famiglia, il nome dei Gjon Marku (John Mark), che (come i Dukagjin) vennero a godere senza differenza la fedeltà e il rispetto del popolo.Non si conoscono documenti che facciano luce su questa successione, ma, secondo le opinioni più attendibili, i Gjon Marku sarebbero gli stessi Dukagjin che, per evitare le rappresaglie dei Turchi contro quel nome tanto odiato e perseguitato, pensarono di abolirlo sostituendolo con il patronimico: così Gjon Marku sarebbe il nome di un Gjon Dukagjin di Mark.
L'ipotesi è confortata da elementi di fatto, e si può credere che i Gjon Marku (ai nostri giorni Gjomarkaj discendano direttamente dai Dukagjin.
Infatti, ad essi, apparsi nel xv sec. a sostituire i Dukagjin, non mancò mai il rispetto e la solidarietà che il popolo ai Dukagjin aveva sempre tributato; e poi essi appaiono come i diretti depositari del diritto consuetudinario da leke Dukagjini compilato:
la famiglia dei Gjomarkaj è chiamata dal popolo «Reza e Kanus» cioè base o cardine del Kanun; e ciò vuoI dire che il popolo per primo ha riconosciuto nei Gjomarkaj i discendenti dei loro antichi Principi. Da parte loro i Gjomarkaj non deviarono dalla prudenza, l'energia e la buona organizzazione che caratterizzavano il governo degli antenati.
Nemici irriducibili dei Turchi, quando, dopo la morte di Skanderbeg (1468), questi invadevano l' Albania ed anche una parte del territorio Dukagjin essi si restrinsero nella Mirdizia che, per la sua configurazione naturale, present,a veri ba- luardi di montagne ed altipiani inespugnabili. Lassù i Gjatnarkaj, continuarono la loro guerra, fieri della loro fede cattolica, fino a che i Turchi dovettero trattare con loro con, più miti propositi.Così, mentre l' Albania era tutta asseryita ai Turchi, i Gjomarkaj nella Mirdizia ottenevano autonomia di governo e libertà di culto; da parte loro si impegnavano ad aiutare il Suitano di Costantinopoli in caso di guerra, purchè i nemici non fossero altri Albanesi; comunquei Mirditi non avrebbero indossato divise turche nè avrebbero combattuto al comando di generali turchi: il generale dei Mirditi sarebbe sempre stato un principe Gjomarkaj.Varie volte i Mirditi combatterono per il Sultano ed in ogni campo di battaglia si coprirono di valore, distinguendosi fra gli altri guerrieri per eroismo e tattica bellica e riscuotendo l'ammirazione' degli stessi Turchi.E poichè furono più volte le loro armi a decidere favorevolmente per gli Ottomani le sorti della guerra, il Sultano, a riconoscimento del loro valore investì i Gjomarkaj del titolo di «Kapidan» (Condottiere), che rinnovava i meriti dei Principi guerrieri a capo dei loro fedeli.
Sulla porta di Costantinopoli è stato scritto, in una piastra d'acciaio, l'ordine del Sultano:
«Tutti i maschi dei Gjomarkaj, generazione dopo generazione, dalla culla alla tomba, porteranno il titolo di Kapidan»,
Mentre nel ,XV e XVI sec, la religione mussulmana assorbiva la più gran parte della popolazione, la cattolica restava la religione di una minoranza d' Albanesi.E si conservò quasi solo in Mirdizia, con tutti i suoi valori di amore e di umanità, sentiti ed osservati.Per difendere il cattolicesimo e l'indipendenza, i Mirditi vissero sempre tra guerre e sangue e i Gjomarkaj furono sempre ,pronti ad agevolare ogni tentativo di unione nazionale contro gli stranieri. Ovunque fosse richiesto il loro aiuto per un tentativo di unificazione albanese essi accorrevano con il loro consiglio e la loro adesione; dovunque fosse chiamato un condottiero, giungeva la loro spada: 1444 ' 1878 -1912 -1920 ecc. Sopportavano la prigionia, sfidavano la morte in mille lotte, preferivano l'esilio piuttosto che sottomettersi ad ingiustizie, mai domi, mai vinti, lasciando sul cammino eterno della storia i loro nomi, nomi d'eroi: Gjon Marku, Lleshi i Zi, Preng Markola, Kole Prenga il grande, Preng Bib Doda, Mark Kapidani ed altri... |
...Nel 1924, finalmente, l'Albania ebbe un governo stabile, sotto la presidenza di Ahmet Zogu, il quale nel 1928 diventò re d' Albania.
Anche nel regno d' Albania, benchè non ancora integra, i Gjomarkaj restarono nella loro Mirdizia, a governare il loro popolo secondo le avite leggi del Kanun. Qualche necessario adattamento conciliava l'autorità dei Gjomarkaj in Mirdizia con il governo centrale, ma lassù, in quell'angolo d'Albania, il popolo della montagna conosceva come capi solo i suoi Kapidan ed attorno ad essi continuava a vivere secondo il sentimento dell'onore, l'onestà della sua semplice morale, l'elevazione della preghiera al suo Dio, buono e onnipossente. |
IL KANUN DELLE MONTAGNE
Ogni sentimento degli Albanesi è profondo ed intenso; ogni convinzione genuina e senza stanchezze.
Lo spirito, come il corpo, di questa gente è ancora sano e semplice, e per questo essa vive saldamente legata ai principi fondamentali di onestà e di giustizia di cui ascolta e capisce ancora il senso.
Questo «animus» ha le sue radici profonde nelle tradizioni avite, in quel complesso di leggi che si sono tramandate di padre in figlio e che formano il «Kanun delle Montagne».
Il Kanun è il complesso del diritto consuetudinario, uno dei pochi diritti consuetudinari conservatisi in Europa.
Tali consuetudini, in confronto alle elaboratissime «institutions» dei popoli più progrediti, sono certamente primitive; ma è lo spirito del Kanun, veramente poetico, che bisogna cercare e sentire, se ci si vuole accostare a quel popolo ed apprezzare la salda maturità interiore.
La società albanese del Kanun è quasi sprovvista di un vero governo; le funzioni dei capi sono quasi esclusivamente funzioni giuridiche e militari. La giustizia è amministrata da un consiglio di anziani che vengono eletti in considerazione della loro saggezza e della loro prudenza: queste sono le vere virtù, e, le virtù sole, l'essenza di ogni vera nobiltà.
La base del Kanun è nel complesso di leggi morali che ogni uomo giusto sente dentro di sè; è nella verità dei valori spirituali che nascono con noi e non si apprendono dai codici.
Gli Albanesi trovano nell'intimo del proprio animo le regole per una sana convivenza sociale col rispetto reciproco delle singole personalità, ed hanno, quindi, poco bisogno di leggi che impongano dall 'esterno i limiti indispensabili nei rapporti con il prossimo.
Con ciò non è da pensare che si ,possa riconoscere al Kanun, nell'epoca moderna, la completezza per regolare la vita di un popolo. Tutt'altro; esso presenta un insieme di concezioni oramai in massima parte superate. Ma se la levatura del popolo è tale che esso ancora aderisce pienamente a quella forma, pur primitiva, di vita, non è giusto voler forzare il suo cammino, togliendogli, a nome di una .migliore civiltà, ciò che fa la base del suo sentire.
Non sono leggi progredite imposte dall 'esterno che fanno il progresso di un popolo, ma è piuttosto il popolo stesso, che, gradatamente procedendo verso la conquista della sua maturità, si crea da sè le leggi del progresso.
Ecco, per esempio, alcuni aspetti della vita albanese: Nelle controversie, la parte principale è affidata al giuramento davanti ai vegliardi.
Per gli Albanesi, giurare di non aver rubato, è prova sufficiente, e l'imputato può essere assolto perchè un albanese che giura ha presenti due considerazioni:
a) che chiama Iddio a testimonio della verità;
b) che può incorrere nei castighi eterni e nelle punizioni temporali del codice (¥) .
Ogni buon Albanese dev'essere anzitutto uomo onorato; e «Onore» è compendio di saggezza e di equilibrio, di onestà e rettitudine, di rispetto ed amicizia, di coraggio e dominio di sè.
Un Albanese è un vero mondo sentimentale, una mescolanza di forza e di dolcezza che si riflette in ogni atteggiamento della sua vita.
A quindici anni, il ragazzo diventa uomo; il capo di casa gli affida le sue armi, e questo momento, in cui all' individuo viene riconosciuta una personalità, è più sacro di un rito.
Il capo della famiglia sa di poter contare, da quel momento, su un altro uomo, e l'uomo sa che quelle armi sono parte di se stesso e non le potrà mai abbandonare perchè, pèr esse, egli entra a far parte dei «valorosi» della sua stirpe.
«Ti sia lunga la vita»! è il saluto che gli Albanesi si rivolgono l'un l'altro.
Altissimo è il senso dell' uguaglianza sociale e della libertà individuale. Gli Albanesi non hanno veri capi; hanno piuttosto uomini da tutti riconosciuti più saggi tra gli altri, a cui affidano l' interpretazione del Kanun e le decisioni nelle questioni giudiziarie; hanno dei gurrieri più valorosi tra gli altri a cui affidano la guida dell'esercito in caso di guerra.
Ma non esiste l'idea del predominio, perchè nell'animo di questa gente il valore di un uomo non sta nel grado sociale che egli occupa, ma nell'onestà con cui avrà disimpegnato la sua parte, qualunque essa sia.
Un ottimo contadino vale un ottimo principe, perchè unico è l'onore dell'uomo, e tale onore è valido, senza alcuna variante, per chi è servo e per chi è re.
Nell'ambiente del Kanun, nucleo principale della società è la famiglia, perfetto organismo, nel cui ambito ogni Albanese svolge la vita in tutto il suo complesso di diritti e di doveri; e nel Kanun, infatti, grande parte occupa il diritto familiare.
La famiglia albanese è patriarcale, di solito numerosa, perchè di una famiglia non fanno parte solo i figli degli stessi genitori, ma tutti i discendenti in linea maschile. A capo di essa è il pàdrone di casa che, quasi sempre, è il più anziano dei maschi; e questi ha .tutte le responsabilità della vita familiare, a cui presiede con pieni poteri. Egli si cura del benessere di tutti, delle ripartizioni giornaliere del lavoro, del matrimonio dei figli, e così pure risponde delle azioni di tutti, siano esse buone o cattive, e guida, giudica, punisce. Ma il capo di famiglia è sintesi di equilibrio e di saggezza, e tutti i familiari ne sentono la superiorità. Per questo, ogni individuo, in seno alla famiglia, si può sentire pienamente libero, pur essendo in tutto sottoposto al capo di casa, perchè non pesa l'autorità di uno che spontaneamente si riconosca superiore per esperienza e saggezza. Così, per ognuno, una disposizione del padrone di casa non è sentita come coercizione, ma come un giusto indirizzo dato da chi sa essere guida buona e comprensiva della giovinezza inesperta. E se mai nel capo famiglia dovessero venir meno le doti di saggezza e di equilibrio, necessarie all'espletamento delle sue delicate funzioni, egli viene deposto dalla volontà concorde dei familiari, e sostituito con l'uomo più anziano e più maturo fra gli altri. Tutto è semplice e chiaro nella mentalità di questo popolo; tutto ha una spiegazione non elucubrata, nè sottilmente cavillosa, ma soddisfacente, Il capo di casa, per esempio, sceglie ai figli e alle figlie il compagno o la compagna della vita, e decide, egli solo, del loro matrimonio. Una ingerenza così totale in questioni di natura completamente personale a noi sembra assurda; pure ha una sua spie gazione. L 'unione di due individui in matrimonio è considerata soprattutto come mezzo per conservare o tramandare la solidità fisica e morale della stirpe. Cosoi, solo ad una persona esperta e matura come il capo famiglia, si riconosce l'oculatezza necessaria per la scelta di una compagna o un compagno adatti come nascita, educazione, valori somatici e morali.
Si va, in conclusione, nella unione matrimoniale, alla ricerca di valori che garantiscano, in buona misura, la riuscita e la stabilità dell'unione stessa.
Non bisogna, tuttavia, pensare ad unioni che riescano fredde e prive di motivi sentimentali, chè, anzi, gli Albanesi hanno profondo affetto e devozione reciproca nella vita coniugale. Poi, specialmente ai nostri giorni, il giovane albanese è libero di scegliere da sè la sua compagna, purchè la sua scelta sia pienamente approvata dal capo famiglia, e quindi non si tratta in fondo di una mentalità rigida e retriva, ma piuttosto di una matura coscienza sociale, per cui il singolo sa che gli interessi personali possono venire rispettati solo quando essi siano compatibili con gli interessi superiori della,collettività.
Gli Albanesi del kanun hanno spiriti solidi come le rocce delle loro montagne. E dunque resta sempre da vedere se il loro modo di vivere sia solo vita primitiva, o sia piuttosto nel mondo un residuo di sanità interiore.
La casa di ogni Albanese è di Dio e dell'ospite. Sempre è pronto del pane, del sale e un giaciglio, insieme
al buon cuore, da offrire a chi chieda ospitalità.
Anche se bussa alla porta l'uccisore dei propri familiari, egli è fatto entrare e ricevuto con quanto di meglio si può.
L 'offesa fatta ad un elemento della famiglia può anche venir perdonata, ma l'offesa arrecata al proprio ospite non può essere perdonata perchè essa lede l'onore del capo famiglia; e la questione non è chiusa senza una vendetta attuata. Così il tradimepto fatto al proprio ospite viene vendicato col sangue dal capo famiglia perchè un Albanese non può venire a compromessi con la propria morale, e dare sicurezza al proprio ospite è un vero obbligo sociale e morale.
Per questioni di onore, dunque, l'Albanese uccide.
E non ritorna mai più uomo onorato se non ha attuato la «vendetta del sangue» contro chi lo ha offeso. Perciò si considerano gli Albanesi come un popolo di sanguinari feroci, pero tali essi appaiono solo finchè si resti fuori del loro «animus».
Un Albanese sa perdonare ogni fallo, sa dimenticare ogni atto che leda i propri interessi materiali, ma non può transigere sulle questioni che tocchino il proprio onore. Così chi ha «l'ospite offeso» deve vendicarlo o perde la dignità. E questo senso così forte della protezione dovuta all'ospite, genera sì, qualche volta, le vendette, ma, nella maggior parte dei casi, resta un mezzo di sicurezza sociale, perchè ogni individuo può trovare in ogni uomo, conosciuto o mai prima incontrato, un .protettore gelosissimo, solo chiedendo ospitalità. Allo stesso modo, un Albanese non verrà mai meno alla parola data, perchè una promessa impegna, essa pure, tutto ' l'onore dell'individuo ed è una realtà innegabile, nè serve, per renderla valida, alcuna testimonianza o documento scritto. Queste son prove richieste per chi non fa fede alle proprie promesse, ma per gli Albanesi non è sminuito il valore della dignità umana, e un giuramento è un totale impegno dell'individuo: la «Besa»** di un Albanese, cioè la sua parola, è insieme promessa, fedeltà, giuramento, e la Besa** ha valore per la vita, oltre la vita.
Questo è, brevemente, lo spirito di chi è educato nel Kanun; e tale spirito ha in sè tanta ricchezza di vita, che sembra davvero ingiusto volerlo soffocare.
Fino ad ora, fino cioè all'invasione rossa, svariate dominazioni si sono succedute sulla terra albanese, ma nessuna è riuscita ad ucciderne mai le tradizioni, e li Kanun si è tramandato di padre in figlio come il più prezioso dei tesori.
La vera culla del Kanun è sempre stata la Mirdizia; e depositaria di esso la famiglia dei Gjomarkaj, perchè discendente, come si è detto, dallo stesso Lek Dukagjini che il Kanun codificò.
Appunto perchè depositari del Kanun, i Gjomarkaj hanno sempre goduto grande considerazione, ma l' autorità da essi esercitata era, più che altro, autorità di giudici, di amministratori della legge, ed il rispetto loro tributato omaggio alla loro giustizia.
La loro non è mai stata nobiltà di monarchi autocrati, nè i loro privilegi accentramento di ricchezze contro gli interessi del popolo; essi erano e sono stati sempre «Capitani», cioè guide giuste ed esperte, a cui gli Albanesi tributavano ogni rispetto perchè ne riconoscevano la onorabilità. E se mai un Gjomarkaj ha ,perduto il senso delle sue responsabilità, ha perduto insieme, e giustamente, ,fiducia e rispetto del suo popolo.
Infatti, ogni buon Albanese, non onora la ricchezza ma le liberalità e la saggezza, la maturità di pensare e l'elevatezza di sentire.
Questi valori, di generazione in generazione tramandati e mantenuti, facevano dei Gjomarkaj i più nobili fra gli Albanesi, senza per questo scavare distanze tra essi e il popolo.
Ai Gjomarkaj di Mirdizia ricorrevano, anche dal Sud, gli Albanesi per sciogliere questioni giudiziarie delicate o con- troverse; ai Gjomarkaj era data l'ultima sentenza:
«La base del codie è la casa dei Gjomarkaj» (†).